Margaret, Alice e le altre

Da un paio di anni ho scoperto di avere un particolare feeling con le scrittrici canadesi. Quando dico entusiasta che mi piacerebbe andare in Canada la gente, mediamente, non reagisce molto. Al massimo mi dicono: “Perchè? Fa freddo! Non c’è un cazzo da fare”. Non essendo mai andata in Canada non posso dare il mio contributo alla diatriba, ma vi posso dire che le scrittrici canadesi hanno decisamente una marcia in più. Poi, che io ami un paese solo perchè mi piacciono gli artisti originari di quel posto è un altro problema… Lei è Alice Munro, classe 1931, nata a Wingham. Potrebbe essere mia nonna, sarebbe bellissimo avere una nonna tosta come lei e di sicuro non avrei avuto alcuna velleità da scrittrice.

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Questa donnina ha scritto capolavori di letteratura leggera, quei libri che ti scivolano pagina dopo pagina sotto gli occhi e intanto senza che tu ne accorga ti avvolgono come un boa costrictor e ti trascinano dentro la storia. Ma soprattutto ti trascinano in un viaggio all’indietro, di quei viaggi che solo la grande scrittura può farti compiere; insomma quei viaggi dentro l’essere umano che straordinariamente è sempre uguale a se stesso nonostante i luoghi e il tempo. Alice comincia a scrivere fin da ragazza mentre fa vari lavoretti per arrotondare, finchè non pubblica “La danza delle ombre felici” e BANG! vince il Governor General’s Award (il premio canadese più prestigioso). Da lì in poi è una serie di felici romanzi e racconti, una serie che dura tutt’ora visto che la signora Munro pubblica regolarmente sul New Yorker, Paris Review e altri magazine prestigiosi. Quest’anno era anche una candidata per il Nobel alla letteratura, andato invece a Mo Yan.

Quello che mi piace di più dei libri di Alice Munro è la sua sfacciata parresia sentimentale, la  capacità spietata di ritrarre l’essere umano in tutte le sue piccole pieghe. Dopo  che ho letto un suo libro mi sento sempre un po’ consolata, come se al mondo non fossi sola e la mia fosse solo una storia come tante. Mi fa lo stesso effetto di certe sere di grazia con gli amici, quando alla fine torni a casa e senti che, nonostante non hai fatto altro che gettare parole al vento, qualcosa dentro di te si è mosso.

“Avevano tutte più o meno trent’anni. L’età in cui  a volte si fatica ad ammettere che è la nostra vita quella che stiamo vivendo” (da Dulse)

“Le immagini e il linguaggio della pornografia e dell’amore si assomigliano: sono monotoni ed esercitano un fascino automatico che porta dritto alla disperazione” (da Bardon, autobus n°144)

Questa fierezza nella costruzione narrativa della storia, accompagnata ad uno stile pulito e vibrante mi fa venire in mente un’altra scrittrice canadese. Lei si chiama Margaret Atwood ed è nata nel 1939.

AU_181Anche lei è ancora viva e si mantiene decisamente attiva pubblicando romanzi, poesie, narrativa per bambini e saggistica. Una specie di uragano, insomma. Mi sono imbattuta nel suo romanzo “La donna che rubava i mariti” circa un annetto fa, in una calda e noiosa estate. Inutile dire che il romanzo costruito sulla vicenda di tre donne molto diverse, tre modi di vivere e intendere la femminilità mi ha subito conquistato. Anche uno dei primissimi lavori “Dancing girls: and other stories” tradotto in italiano nel molto più ammiccante “Fantasie di stupro e altri racconti” (libro per cui mia madre mi ha detto che non ritirerà mai più libri miei in biblioteca) del 1977 riflette la forza di questa scrittrice che in poche righe riesce a restituire al lettore una storia completa, in cui il non detto e il contesto fanno trasparire molto di più rispetto a ciò che viene detto. Femminista quando ancora non esistevano le femministe, ambientalista, e una vita dedicata alla scrittura passata anche insegnando in diverse università canadesi. Una signora della scrittura così noi, purtroppo, ce la sogniamo ancora. Vi lascio infine con queste parole di Alice.

“Credo che in ciascuno di noi ci sia il desiderio di assecondare e, al tempo stesso, di combattere ciò che prevede prospettive immutabili e fiumi di belle parole”

IMITATIONOFDEATH

Ultimi giorni di cartellone qui a Milano per lo spettacolo Imitationofdeath di Ricci/Forte. Il duo più irriverente del teatro italiano, dopo il successo dell’anno scorso con Grimmless, ci propone questo nuovo spettacolo in cui sedici performer mettono in scena sedici morti apparenti. Il lavoro prende spunto dall’universo narrativo di Chuck Palahniuk e affronta di petto uno dei rapporti più problematici della nostra società, anzi probabilmente affronta il problema principe: la nostra contemporaneità, il nostro essere ora qui adesso, in questo posto e in questo modo.

La nostra mediocrità, i nostri sogni che abbandoniamo lungo la strada e che diventano incubi che ci prendono alla gola, i compromessi a cui cediamo pur di non restare al freddo, i giorni vissuti con gli occhi chiusi. Una vita vissuta da morto, un’imitazione della vita. Ecco la critica che Ricci/Forte lanciano alla nostra società.

Vi saprò dire se come sempre mi sentirò presa a schiaffi dallo spettacolo di Ricci/Forte.

Edmund White, ragazzi nudi e Colori proibiti

Le apparenti connessioni mi affascinano sempre e praticamente da sempre. La mia ansia tassonomica mi ha sempre spinto a cercare una spiegazione, che sciocchina. La connessione di oggi, che mi fa alquanto sorridere, è fra cosa sto leggendo in questi giorni e la parole contenute in questo mio blog che mi consentono ogni tanto di avere qualche views da Google.

Questo baldo giovane qui sopra (non ho avuto cuore di mettere foto recenti) è Edmund White romanziere statunitense attualmente professore di scrittura creativa a Princeton. Non ha mai fatto mistero della sua omosessualità e della sua malattia, l’HIV. I suoi racconti parlano di vita, di morte e di amore, omo ovviamente. Sto leggendo Caos e devo dire che l’ho trovato molto piacevole, a volte per il forte contenuto di cinismo mi affiorava alla mente il caro Bret Easton Ellis, con i suoi ragazzi belli e cinici nella Los Angeles anni Ottanta.

Jack scrutava questi fighetti autolesionisti e dalle mani bucate al Venus Coffe Shop: li vedeva ai tavolini con la loro vecchia felpa preferita addosso, bianca con le maniche verdi, oppure con i bermuda azzurrini, tutti consumati, che quando si alzavano un po’, mostravano il sospensorio rosso e le gambe pelose, o con i calzini bianchi e le scarpe eleganti rosso mattone, a volte con una gamba piegata sotto il fianco scarno.

Devo confessare che apprezzo la letteratura omo/gay o come la si voglia definire, anche se personalmente trovo svilente etichettare dei libri solo in base al sesso delle persone che si scopa il protagonista e/o lo scrittore. In ogni caso hanno una capacità, ovviamente, di descrivere gli uomini che è molto differente dalla sensibilità femminile e riescono ad avere su di esso uno sguardo totalmente differente.

A volte Jack si convinceva che Seth fosse l’unico capace di tenergli testa, il solo ad avere un istinto sessuale prorompente come il proprio, ma non ci credeva nemmeno lui. Se Seth veniva cinque volte al giorno, Jack era in grado d’ingoiare altrettante volte, ma capitava che non gli venisse neanche duro e che non avesse un’eiaculazione. Il bambino piange per avere il latte della mamma cinque volte al giorno e la madre lo allatta a comando, ma non per questo il piccolo si trasforma in madre.

Dicono che i classici della letteratura omosessuale siano Oscar Wilde, Andrè Gide, Foster, Proust ma nessuno cita il mio vecchio amico Mishima (caspita non lo ama proprio nessuno tranne quei geni incompresi che sono i  CCCP).

Non si è mai capito bene se davvero Yukio, ultranazionalista, duro, l’ultimo vero samurai, nobile e sposato fosse VERAMENTE gay, ma sinceramente quando una persona riesce a scrivere una cosa del genere perdo ogni interesse per tentare di capire verso chi e come il suo amore nella vita reale s’indirizzasse…

C’era in lui un’impressione colma di vitalità, come di un uomo che fosse venuto correndo nel vento fresco dopo essersi svegliato all’improvviso. I suoi begli occhi fissarono Kyoko frontalmente e non esitarono. Il loro sguardo era affettuoso come nessun altro, eppure parlava con insolenza, senza giri di parole, del proprio desiderio.

Il pezzo qui sopra è preso da Colori Proibiti, che Mishima ha scritto nei primi anni Cinquanta. E guarda un po’ il titolo originale in giapponese è Kinjiki che significa sia colore sia proibito, tirate voi le somme. Ah dimenticavo la connessione di partenza è BEI RAGAZZI NUDI.

Timelapse

 

In quel grande groviglio di connessioni che è il web capita di trovare i lavori di persone comuni, senza forse particolare talento, ma che portano avanti le loro passioni. Così ho trovato i timelapse di Eric Hines, un ragazzo di ventitrè anni di Valparasio (che nome simpaticamente italico, potrebbe essere Valparasio provincia di Bergamo…) in Indiana, che si diletta di fotografia e per l’appunto con la sua splendida 5D si diverte a fare dei timelapse.

Un po’ me lo immagino che parte alla sera o all’alba e contento come un bambino va a fare le sue belle fotografie, che poi coscienziosamente carica su tutti i social network à la page.

Capita allora di provare una sorta di vicinanza spirituale, come un’affinità d’intenti con persone che vivono dall’altra parte del mondo, cresciute in un modo totalmente diverso dal nostro e che vivono sotto cieli diversi. Ma è come se fossimo spinti tutti da una stessa passione. E lo sguardo, lo sguardo sul mondo e sulla sua complessità, diventa sempre più spaventosamente simile.

Mary Gaitskill

Mi ha attratto la copertina dell’edizione Einaudi, lo confesso. Quella foto orrenda, un occhio azzurro truccato in modo sapiente, una lama di luce su un viso splendido nell’oscurità. E anche il titolo mi ha fatto incuriosire,  Oggi sono tua, ma perché dobbiamo sempre tradurre in questi modi svilenti e ammiccanti al portafoglio (dell’editore) i titoli di libri e film? Celebre secondo me è il caso dello spassosissimo The Producers di Mel Brooks uscito in Italia con il titolo assai fuorviante di Per favore non toccate le vecchiette, ma perché? In ogni caso il libro Oggi sono tua di Mary Gaitskill in realtà raccoglie alcuni dei migliori racconti, secondo loro, della scrittrice americana pubblicati in origine in diverse raccolte. Bad Behaviour, del 1988, contiene racconti scritti attorno ai vent’anni e la Gaitskill tratta di tutti quei temi che le resteranno appiccicati per il resto della vita: donne, sesso, sadomasochismo, droga, prostituzione, anoressia. Il tutto condito con un bel po’ di apatia sentimentale, fragilità, difficoltà relazionali e sconfinato terrore di fronte alla vita. La cosa divertente, che so che non vi divertirà visto i temi barbosi, è che Mary Gaitskill riesce a descrivere queste donne instabili e le loro relazioni quasi sempre fallimentari e malate con una profondità e maestria molto rari.

È difficile mantenere dritto il timone quando si parla e si raccontano storie che hanno, tra gli ingredienti, cose come il sadomasochismo.  Non è facile non cadere nel banale, nella fiction più sciapa ma la Gaitskill sa dove sta andando. Questi non sono racconti erotici, ve lo dico subito. Io non sono una fan di queste pratiche ma vi assicuro che quello che nasce dentro mentre si leggono questi racconti è ben lontano da una, anche misera, eccitazione. Se volete una cosa del genere continuate pure a leggervi Isabella Santacroce. Non siamo neanche di fronte a uno di quegli insipidi romanzi nostrani su donne in crisi e club di amiche di sostegno, qui ci sono tutti gli argomenti ormai classici e che anzi tanto piacciono alle lettrici di oggi ma sono tratti in modo profondo, veritiero e bisogna stare attenti perché quando ci imbattiamo in qualcosa del genere il rischio è di sentirsi osservati da vicino.

Era raffinatamente morbosa in ogni suo gesto, suscettibile, arrogante, sensibile all’adulazione. Oscillava tra eccessi di convinzione smodata e improvvise, esitanti sospensioni, durante le quali sembrava cercare il suo consenso. Era innamorata dell’intelligenza, e sopravvalutava la propria. A dispetto dell’aggressività con cui la sfoggiava, era possibile, lo intuiva, strapparle da sotto i piedi la sua conoscenza del mondo senza troppa, o alcuna difficoltà.

e ancora 

Tu pretendi di succhiare la gente fino al midollo; ti aspetti che tirino fuori tutto quello che hanno dentro per poter fare lo stesso con loro, ancora e ancora, all’infinito finché non sai tutto quel che c’è da sapere, ma non funziona così. Le relazioni si costruiscono sul “Ciao, come stai?” e sul “Bene, grazie”

Gli altri racconti sono tratti da Because they wanted to e Don’t cry rispettivamente pubblicati nel 1997 e nel 2001. Ah dimenticavo, la signora Gaitskill, dalla biografia ovviamente turbinante e “avventurosa”, è nata nel 1954. A leggere quello che scrive potresti benissimo credere che sia stato scritto da quella stronza che è sempre sulla lista, quella che hai visto l’altro giorno alla première del nuovo video dell’ultimo gruppo indie appena passato a una major. Ultima informazione, dal racconto Segretaria hanno tratto nel 2002 un film omonimo (e dato che fa parte del circuito indipendente gli italiani hanno pensato non valesse la pena di tradurre il titolo e quindi hanno lasciato Secretary, o forse perchè La Segretaria faceva davvero troppo video porno casereccio). Ovviamente tra racconto e film ci sono pochissimi elementi di contatto. Insomma la Gaitskill è stata per me una piacevole scoperta che va ad aggiungersi alla mia lista di autrici che erroneamente vengono etichettate come scribacchine di  LIBRETTI DA DONNE che ogni tanto, confesso, ho bisogno di leggere. Non sarà certo un libro che vi cambierà la vita, però qualche momento piacevole può regalarvelo.

Micro: festival editoria indipendente a Milano

Ecco una bella iniziativa! Dal 13 al 14 ottobre gli spazi di Superground ospiteranno  Micro, fiera di editoria indipendente organizzata da La Caffettiera (contenitore creativo creato da Marco Nicotra di BOLO Paper e Giuliana Tammaro di Branchie) in collaborazione con Art Kitchen. La manifestazione coinvolgerà più di una ventina di editori indipendenti e durante i tre giorni, oltre a poter visionare live del materiale decisamente interessante, ci saranno incontri, workshop per realizzare un propria fanzine, laboratori creativi di vario genere e molto altro ancora.

Quindi se siete grafici, illustratori, fotografi o semplicemente avete un debole per le pubblicazioni di nicchia segnatevi le date sul calendario e date un occhio al programma perché è probabile che questa volta sotto il cielo di Milano ci sia qualcosa d’interessante!