La leggenda di Kaspar Hauser by Davide Manuli

Sono stata fortunata: volevo vederlo da mesi e il Milano Film Festival 2012 l’ha proiettato con tanto di regista in sala (per la cronaca c’era anche Giuseppe Genna). L’opera si compone di un cast ridottissimo e i personaggi, come in un dramma antico, incarnano rassegnati il  ruolo a loro assegnato. Vincent Gallo è lo sceriffo che alterna ossessivi Oh Yhea! Right! a uno spedito italiano conviviale, ma è anche il pusher dell’isola, vero amministratore della giustizia (a piacimento della Duchessa alias una Claudia Gerini poco intensa). Abbiamo poi immancabile “la puttana”, la bellissima Elisa Sednaoui molto brava nel suo ruolo “sono una strafiga, vorrei scoparmi il pusher e fuggire con lui, ma infondo sono una brava ragazza”, il prete Fabrizio Gifuni, il servitore e poi certo Kaspar Hauser alias Silvia Calderoni.

Devo dire che i punti di forza del film risiedono nella splendida isola dell’Asinara, main location del film, immortalata in un sensibilissimo bianco e nero che si articola in una realtà d’infinite sfumature di grigio. Insomma la Sardegna esce molto bene da questo film, ambientato altrove avrebbe avuto ancora meno senso. Punto due: la colonna sonora, onnipresente (Sono dipendente dalla musica, dice Kaspar ad un certo punto… verrebbe voglia di rispondergli: beh, l’avevamo intuito!) fortissima, preponderante sui dialoghi, sul senso del film, su qualsiasi cosa. Punto tre la recitazione di Silvia Calderoni, l’unico altro attore a mio parere che può tenergli testa è il servo Marco Lampis. Perfetta per il ruolo dell’alienato che sente una musica sua in testa. Punto quattro: i titoli di testa, incredibilmente violenti nella loro semplicità arrogante, di solito dei bei titoli di testa sono una garanzia o comunque predispongono positivamente alla visione.

Però, dialoghi pessimi, finto intimisti talvolta ( vedi puttana e pusher), o di un misticismo sconclusionato (prete e Kaspar addormentato). Ci avevano detto che questa era poesia (l’amico Genna) e che potevamo reagire alla visione del film in tre modi diversi: andandocene (come in effetti alcuni hanno fatto), dormendo oppure lasciandoci irradiare dalla poesia. A me a dir la verità è venuta solo una gran voglia di andare a ballare su qualche spiaggia sperduta della Sardegna. Forse non siamo ancora pronti per Kaspar Hauser.

“Ecco l’equivalente del suono così come io come lo intendo. L’attore non esiste più, il sé manca, siamo nell’abbandono, nella morte della significazione. L’interiorità ha eliminato la comunicazione. Tra l’attore e lo spettatore non si comunica più. L’interiorità dell’attore si precipita nell’interiorità dello spettatore. A questo stadio, la rappresentazione, le parole come volontà, Dio, la grammatica, l’anima, lo spirito, non esistono più. Sono il mai-detto, il non-detto, che parlano all’interiorità. Siamo nella sensazione. E infine è il corpo che scompare”. Questa precisa descrizione dell’opera di Manuli è stata enunciata da Carmelo Bene, in un’intervista a Thierry Lounas, sui Cahiers du Cinéma, nel 1998, l’anno in cui usciva il primo film di Davide Manuli, Girotondo, giro intorno al mondo