The Do

Dan  e Olivia

Dan e Olivia

The Do è un gruppo francese, nato nel 2005. Il nome deriva, al di là dei giochi semantici e grafici (d come nota, do come la prima e ultima nota..) dall’unione dei nomi dei fondatori. Olivia Merilahti, di origine franco-finlandese (come si può notare dagli zigomi e dalla voce infantilmente cristallina), e Dan Levy musicista polistrumentista. Si sono incontrati durante la realizzazione della colonna sonora del film “L’impero dei lupi” e da allora hanno cominciato a lavorare insieme componendo colonne sonore per film francesi, musiche per il teatro e per la danza. Nel 2008 il primo album A Mouthful e nel 2011 Both Ways Open Jaws. Io la prima volta che li ho ascoltati è stato per caso, come sempre, attratta da questo video.

Lei è bellissima e possiede una bella gamma vocale. Gli arrangiamenti sono curati e mai banali nello soluzioni. I pezzi variano da pezzi intimi sfacciatamente indie che regalano a volte momenti di pura felicità a ballate più ritmiche che volentieri compiono incursioni in territori musicali lontani dal rock d’origine.

In ultimo non c’è prova regina sulla validità di un gruppo che il confronto con il pubblico vero durante un live. Visto che il bel duo non è Italia ancora per un po’, ci si può accontentare del live session registrato allo studio Pigalle di Parigi. Meglio di niente.

 

 

 

La leggenda di Kaspar Hauser by Davide Manuli

Sono stata fortunata: volevo vederlo da mesi e il Milano Film Festival 2012 l’ha proiettato con tanto di regista in sala (per la cronaca c’era anche Giuseppe Genna). L’opera si compone di un cast ridottissimo e i personaggi, come in un dramma antico, incarnano rassegnati il  ruolo a loro assegnato. Vincent Gallo è lo sceriffo che alterna ossessivi Oh Yhea! Right! a uno spedito italiano conviviale, ma è anche il pusher dell’isola, vero amministratore della giustizia (a piacimento della Duchessa alias una Claudia Gerini poco intensa). Abbiamo poi immancabile “la puttana”, la bellissima Elisa Sednaoui molto brava nel suo ruolo “sono una strafiga, vorrei scoparmi il pusher e fuggire con lui, ma infondo sono una brava ragazza”, il prete Fabrizio Gifuni, il servitore e poi certo Kaspar Hauser alias Silvia Calderoni.

Devo dire che i punti di forza del film risiedono nella splendida isola dell’Asinara, main location del film, immortalata in un sensibilissimo bianco e nero che si articola in una realtà d’infinite sfumature di grigio. Insomma la Sardegna esce molto bene da questo film, ambientato altrove avrebbe avuto ancora meno senso. Punto due: la colonna sonora, onnipresente (Sono dipendente dalla musica, dice Kaspar ad un certo punto… verrebbe voglia di rispondergli: beh, l’avevamo intuito!) fortissima, preponderante sui dialoghi, sul senso del film, su qualsiasi cosa. Punto tre la recitazione di Silvia Calderoni, l’unico altro attore a mio parere che può tenergli testa è il servo Marco Lampis. Perfetta per il ruolo dell’alienato che sente una musica sua in testa. Punto quattro: i titoli di testa, incredibilmente violenti nella loro semplicità arrogante, di solito dei bei titoli di testa sono una garanzia o comunque predispongono positivamente alla visione.

Però, dialoghi pessimi, finto intimisti talvolta ( vedi puttana e pusher), o di un misticismo sconclusionato (prete e Kaspar addormentato). Ci avevano detto che questa era poesia (l’amico Genna) e che potevamo reagire alla visione del film in tre modi diversi: andandocene (come in effetti alcuni hanno fatto), dormendo oppure lasciandoci irradiare dalla poesia. A me a dir la verità è venuta solo una gran voglia di andare a ballare su qualche spiaggia sperduta della Sardegna. Forse non siamo ancora pronti per Kaspar Hauser.

“Ecco l’equivalente del suono così come io come lo intendo. L’attore non esiste più, il sé manca, siamo nell’abbandono, nella morte della significazione. L’interiorità ha eliminato la comunicazione. Tra l’attore e lo spettatore non si comunica più. L’interiorità dell’attore si precipita nell’interiorità dello spettatore. A questo stadio, la rappresentazione, le parole come volontà, Dio, la grammatica, l’anima, lo spirito, non esistono più. Sono il mai-detto, il non-detto, che parlano all’interiorità. Siamo nella sensazione. E infine è il corpo che scompare”. Questa precisa descrizione dell’opera di Manuli è stata enunciata da Carmelo Bene, in un’intervista a Thierry Lounas, sui Cahiers du Cinéma, nel 1998, l’anno in cui usciva il primo film di Davide Manuli, Girotondo, giro intorno al mondo